Il Traghettatore – William Peter Blatty

(Nota Bene: questo articolo non è uno spoiler)
Per esempio… come fai la lamentarti delle 200 pagine quando prima di acquistarlo sei quasi costretto a leggere a chiare lettere: “Il traghettatore – William Peter Blatty – Traduttore: C. Peddis – Editore: Fazi – Anno edizione: 2012 – Pagine: 201 p. Rilegato –“, eh???
Lo si sa da prima di averlo tra le mani quante pagine avrà il libro! E se 201 son troppo poche perché non cercare da subito un Dostoevskij, un Tolkien, un Littell, una Sacra Bibbia?
Il traghettatore è un libro con una (bella) storia ma non è un romanzo e neanche vuole esserlo.
Il libro è stato scritto e pubblicato negli Stati Uniti nel 2009, cioè quando William Peter Blatty (New York, 7 gennaio 1928 – Bethesda, Maryland 12 gennaio 2017) aveva già 81 anni, e suppongo, preferisse cimentarsi in un genere diverso e più breve perché… beh da vecchi ogni giorno è un grande regalo da non dare per scontato, anche se non è stato l’ultimo dei suoi libri.

Certo essendo più corto, si punta alla trama piuttosto che nell’approfondire la psicologia dei personaggi con spiegazioni del narratore onnisciente; bisogna capire i caratteri delle persone per quanto l’autore mostra senza dire.
La cornetta di un telefono rosa pallido incastrata sotto il mento, Joan Freeboard, nervosa, era in piedi davanti alla sua scrivania. Con una mano faceva frusciare le pagine dei suoi appunti, impaziente e accigliata, quasi stesse cercando il foglio che le avrebbe rivelato perché era venuta l mondo. Il led della seconda linea iniziò a lampeggiare. Lo guardò.“Va bene, ho capito, hai già detto che verrai”, disse in tono brusco e scontroso; nella sua voce si potevano sentire le note del suonatore d’organetto che passeggia attorno all’edificio, lo schioccare del bucato steso sul tetto ad asciugare. “Allora che c’è? Hai bisogno di promemoria continui, Terry”, insistette, “Ti ricordi il giorno e l’ora?”.
Rimase in ascolto, le labbra increspate, poi gettò il foglietto sul tavolo. “Lo sapevo. Segnatelo: venerdì sera alle sei in punto. E ricordati, non portare quei maledetti cani!”
Per smontare queste credenze superstizione Freeboard decide di riunire un gruppo di persone per trascorrere qualche giorno a Elsewhere con loro, e per dimostrare che non c’è nulla di strano: l’amico scrittore omosessuale Terence (Terry) Dare che potrebbe scriverle un articolo sarcastico sui fantasmi a cui ovviamente non crede, Anna Trawley, una famosa medium, tranquilla ma attenta a ciò che ha attorno, Gabriel Case della New York University, autorità massima nel paranormale, gentile, riservato e con un sorriso smagliante “come un arcangelo del cazzo” a dirla come Joan Freeboard.
Percorse a lunghi passi il portico a vetrate della Trump Tower e si infilò nella Quinta Strada e nel suo trambusto, nel frastuono del traffico congestionato di una scura giornata di maggio. Dal marciapiede fece un cenno, fermò un taxi e vi salì.
– Dove?
Freeboard esitò, lo sguardo fisso davanti a sé. Qualcosa l’aveva visitata. Cos’era?, si chiese. Una specie di vaga premonizione. Di cosa? E cosa aveva sognato la notte scorsa?
Blatty usa la trama come strumento per dare vita al corpo narrativo, lascia per il lettore indizi fra le righe, come in un giallo, anziché limitarsi a dire e spiegare.
Partono, con un’imbarcazione, nonostante la tempesta.
L’arrivo ad Elsewhere è la seconda parte della storia. Qui le promonizioni cessano ma per Freeboard iniziano i déjà–vu.
Isolati da tutto in seguito alla tempesta, ad Elsewhere cominciano a sentire rumori inspiegabili, ad avere visioni assurde, anche di sacerdoti mentre esorcizzano in latino la tenuta e, Manhattan all’orizzonte che non si riesce più ad intravedere.
Era preoccupata e confusa, si sentiva spossata, il corpo pesante. Sdraiata sul letto, Freeboard teneva lo sguardo fisso sul soffitto. C’era qualcosa che non andava, ne era certa. Ma cosa? Strinse le mani a pungo lungo i fianchi, chiuse gli occhi e cercò di scacciare quella sensazione. Il dito medio della sua mano si sollevò. “Prova a infestare questo!”
Non è scritto da Blatty “buttato giù senza pensarci”, come qualcuno ha commentato, ma è per far sentire l’opera “in 3D”, suscitare reazioni emotive che il lettore dovrebbe apprezzare e saper cogliere ogni volta come palle al balzo. Lo scrittore vuole esprimere qualcosa mostrando e senza dire e il lettore dovrebbe divertirsi a cercare quel qualcosa in ciò che legge. La comprensione del testo ne approfondisce l’effetto.
Dice Gabriel Case:
…ma supponga che quando morirà, lei sia convinto – come credo sia , signor Dare – che la morte rappresenti la fine di ogni forma di coscienza; poi però lei muore ma rimane totalmente cosciente e così il momento immediatamente successivo alla morte sembra non essere per nulla diverso da quello che l’ha preceduta. Allora, se le cose stessero in questo modo, sarebbe davvero così spaventosamente strano se qualcuno di noi semplicemente non si accorgesse di essere morto?
Gli indizi sono collegati fra loro e, tutti insieme, rimandano a una rete di concetti e significati che si riescono a comprendere solo all’ultimo.

E’ un libro di quelli che catturano il lettore ma non lo terrorizzano (a meno di non aver paura di fantasmi e spiriti, certo), succedono fatti avvincenti e strani, dai déjà-vu, ai flashback, agli inspiegabili buchi di memoria dei personaggi, che fanno dimenticare a Terry Dare di essere venuto Elsewhere con i suoi bambini, gli amati cagnolini Maria e Pompette che, nelle ultime pagine, felicissimo come non mai, ritroverà; la seduta spiritica con la tavola ouija e le risposte sibilline di questa che turbano e angosciano anche se ancora non si comprendono ancora chiaramente, l’angelo, dei sogni, e forse è qualcosa di più…
Il gesuita più anziano lo fissò. “Sembri così giovane”.
“Già”.
Il vecchio abbassò lo sguardo verso l’acqua luccicante del fiume. Il blu del cielo cominciava a riflettersi sulla superficie. “Quanti terribili misteri ci offre il mondo, Regis. Alla fine sappiamo così poco di come sono veramente le cose, di cosa siamo noi stessi”.
“Vero”.
“Un neutrino non ha massa né carica elettrica. Può attraversare tutto il pianeta in un batter d’occhio. E’ un fantasma. Eppure è reale, sappiamo che è lì, che esiste. I fantasmi sono dappertutto, secondo me. Sono proprio accanto a noi… anime perdute… i morti che non trovano pace. Sai, a volte mi chiedo se…”.
Mentre si voltava verso il giovane gesuita, si interruppe. Assunse d’improvviso un’espressione confusa, poi trasaliì. Si guardò intorno, alle spalle, sorpreso, sconvolto.
“Regis?“, disse.
Sul molo accanto a lui non c’era nessuno.
Consigliatissimo.

Grazie a te per la recensione, mi hai fatto conoscere davvero una novel interessante!
se piacciono i fantasmi… è l’ideale 🙂 ciao
Ti ho letto con gran piacere ma rimane la mia profonda delusione per questo romanzo. E non parlo di lunghezza: giudicare un qualsiasi testo dal numero di pagine l’ho sempre considerato assurdo.
Come ho già scritto, non è tanto l’estrema non-originalità della trama – in pratica Blatty prende “Hill House” della Jackson e “Hell House” di Matheson – che comunque crea una situazione intrigante, ma il fatto che una scrittura che ho trovato al di sotto della sufficienza e personaggi stereotipati portino ad un risultato che era scontatissimo già dalla seconda pagina. (Non so come gli utenti facciano a parlare di finale a sorpresa, visto che telefonato già dalle prime pagine!) Se Blatty voleva usare la forma del romanzo – o, come specifichi, del novel – per parlare di altro, almeno poteva impegnarsi un po’ di più: sono partito con le migliori intenzioni ma l’agire stereotipato e una scrittura insoddisfacente mi hanno smontato.
Però, ripeto, ti ho letto con gran piacere 😉
rispondo ora, sorry, col link nel commento si era disperso nello spam.
scontatissimo dici? che sono tutti fantasmi sì ma a me l’inaspettato è arrivato da altre cose. Per es i due proprietari che si uccidono fra di loro e che poi rimangono imprigionati nella casa da cui non possono/vogliono andarsene fino a che non si sono perdonati e si amano vicendevolmente di nuovo (la casa è stata per loro una sorta di purgatorio, come lo è con i déjà vu per i nuovi inquilini, finchè non capiscono, accettano, scelgono), e riescono ad amare e a voler aiutare anche altre persone (già fantasmi anche se non lo sanno) prepararle con pazienza per l’altrove. Potevano anche restare lì per secoli odiandosi vicendevolmente. Il fatto che i personaggi che si credevano vivi facciano il passo solo quando hanno risolto le loro paure e gli attaccamenti terreni fa un po’ da favoletta morale anche per i vivi… finché non comprendi te stesso e superi le tue paure non puoi andare avanti per l’altrove del tuo futuro.
E Regin nell’ultima pagina? io son dovuta andare a riguardarmi chi era nelle prime pagine del libro, pensavo lo avesse buttato a caso e invece era pensato come il personaggio finale che lascia intravedere tutta una economia fatta da aiuti dall’altrove a chi in qualche modo è legato alla casa, che sia vivo o morto.
Anche il titolo Elsewhere l’ho capito solo dopo letto il libro… Tutti coloro che sono morti in quella casa sono altrove ma ancora con un occhio di riguardo per quello che capita in quella dimora, una sorta di custodi. A me ha dato da pensare…
e non son neanche dispiaciuti tutti i foreshadowing che Blutty lascia cadere con noncuranza e che ho ricollegato solo alla fine.
però certo non è I fratelli Karamazov e non mi sogno di paragonarlo alla Jackson o al grandissimo Matheson… va bene come lettura di una notte e via.
Ma sì anche io ho letto la tua recensione con piacere. Meno male che abbiamo gusti e interpretazioni diverse a questo mondo, sennò sai che noia 🙂
ciao Lucius
Infatti ti sono venuto a leggere proprio perché mi ha fatto piacere scoprire una nuova interpretazione del testo. Quando l’ho letto ho chiesto un po’ in giro ma tutti mi rispondevano che conoscevano solo l’Esorcista di Blatty, e mi commentavano quello: sì, va be’, ma questo romanzo l’avete letto? No. 😀
E quindi non riuscivo ad avere un confronto, un parere. Una volta di più apprezzo il mondo dei blog perché si possono “stanare” libri in comune e scambiarsi opinioni in proposito, cosa che dal vivo purtroppo è diventato quasi impossibile. (A meno che non sia il bestseller del momento.)
Se non altro sono debitore a questo romanzo di avermi riacceso la passione per le ghost house, e oltre alle recensioni di NonQuelMarlowe ho iniziato un ciclo che ancora va avanti sul Zinefilo, viaggiando nelle varie interpretazioni del tema. Quindi in ogni caso posso dirmi soddisfatto della lettura ^_^
cavol questa mi era sfuggita. Ho rpvveduto subito 😛
grazie
io non riuscivo a staccarmi fino alla fine, ed è raro trovare libri così.
contenta di avertelo suggerito!
già presente sul kindle! 😛
finalmente sono arrivata a leggere questo libro (la mia pigna sul comodino si è dimezzata) ed è davvero stupendo. E’ scritto talmente bene da non riuscire a staccarsi.
Veramente bello! Grazie per avermelo fatto conoscere!
felice che ti sia piaciuto! è una buona bibita fresca che non puoi fare a meno di bere tutto d’un fiato prima di appoggiare il bicchiere, vero?
grazie a te di essere tornata su questo post per raccontarmelo 🙂
Grazie, c’è sempre bisogno di buoni consigli di lettura